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MA SIAMO SICURI CHE LE PERSONE VOGLIANO GUARIRE? - NO!

È molto che non scrivo e chi lavora con i social network sa che è importante farlo con una certa frequenza ma negli ultimi mesi il tempo a disposizione per farlo è diminuito ed è stato destinato ad ulteriore studio e ricerca.


Quello di cui comunque oggi vi vorrò parlare è di come siano aumentate sempre più le persone che mostrano segni di squilibri psicologici che mi portano poi a consigliare percorsi affini alla psicologia e alla psichiatria.


Nutro enorme importanza al primo contatto che con un nuovo paziente, generalmente avviene tramite una chiamata telefonica e giá in quella si evince se la situazione fosse di mia competenza o se da demandare ad altre figure sanitarie; non manca poi mai tra l'altro di capire le intenzioni e gli obiettivi del paziente quando ritornerá a star bene, quali siano le sue reali motivazioni e quanto impegno e collaborazione al mio fianco dedicherà per ritornare a stare bene.


 Più volte però...non è sempre così chiaro...


Vi parlerò di questa situazione, due persone, mamma e figlia.


La madre si presenta alla visita facendomi presente che ha una dolorosa lombalgia, diversi terapisti negli anni addietro si sono occupati di questa situazione ma nessuno di essi è mai riuscito a risolvere questa situazione.


Alla visita è presente anche la figlia, quasi maggiorenne con diverse disfunzioni strutturali che la portano ad avere dolore costante nella vita quotidiana e che la madre è interessata che me ne occupassi successivamente.


Inizio con la madre e spiegandole cosa fosse mancato negli altri approcci terapeutici, le illustro dove lavoreremo, con quali modalità e tempi.


Le spiego la CAUSA del suo dolore e come non andremo - MAI - inizialmente a lavorare direttamente sulla sua zona dolente e neppure su quelle annesse (conseguenze) ma concentrandoci tramite un intervento terapeutico mirato alla disfunzione primaria lei inizierà subito a stare bene.


 1- Iniziamo e dopo il primo trattamento di carattere neurologico, in decompensazione, la coinvolgo come parte attiva del trattamento, uso degli oli essenziali per migliorare la sua ventilazione polmonare le insegno come respirare ecc... e già nei primi passaggi mi segue entusiasta scoprendo come il suo corpo inizi a reagire positivamente al trattamento manuale.


Termino la prima seduta e ci lasciamo rinnovando i suggerimenti dati in visita e come cómpiti cercare di acquisire consapevolezza nella respirazione e nella camminata.


2- La rivedo per una seconda volta ed entusiasta dal primo risultato dato dal primo trattamento mi spiega come il dolore fosse già iniziato a diminuire.

Lavoro e al termine le aggiungo un esercizio che ci aiuterà a preparare delle aree di lavoro nel terzo incontro


 3- Nel terzo appuntamento mi spiega che il dolore sta quasi scomparendo, anche i miei test funzionali lo dimostrano e noto un grande miglioramento complessivo nella persona tant'é che mi viene chiesto di occuparmi anche della situazione della figlia che, senza entrare ora nel dettaglio, anche lei avrà un risposta molto positiva ai primi trattamenti.


Proseguo con il lavoro posturale e al termine le insegno un nuovo esercizio da fare prima della prossima volta, la raccomandazione di migliorare l'idratazione e di riprendere gradualmente ogni attività lavorativa quotidiana.


4- Dal nostro percorso questo sarebbe stato l'ultimo appuntamento e perfettamente in linea a quanto le avevo inizialmente proposto e ormai praticamente alla fine del mio operato mi aspettavo una persona felice di essere ritornata a stare bene.

MA...

altra situazione mi si sarebbe presentata davanti.

Arriva all'appuntamento e mi comunica che oggi non avrebbe fatto il trattamento, ne chiedo la motivazione tant'é che le spiego che avremmo terminato oggi ormai alla fine della risoluzione della situazione che per anni l'aveva afflitta.

《Sá Dottore è proprio questo il problema...》

Le rispondo che non capisco e chiedo di spiegarmi meglio

《Vede lei mi sta guarendo e per me è un problema, mio marito che prima mi chiedeva come stessi ora non me lo chiede più》

《Prima i miei figli mi telefonavano per chiedermi come stessi e quelli in casa mi davano una mano con le faccende, ora che mi vedono star meglio non mi aiutano più》

《Mia figlia che stava male e aveva dolore, cercava sempre il mio aiuto, ora già inizia ad averne molto meno》

《"Mi dispiace", ma non devo, voglio, star bene!》


Io rimango allibito, incredulo, spiego che il mio lavoro é proprio quello di far ritornare a far star bene le persone e che la sua volontà é proprio invece opposta.

Altre scuse mi vengono raccontate se lei fosse ritornata a star bene e decisa a non terminare mi lascia uscendo dallo Studio e disdicendo anche i prossimi appuntamenti per la figlia.

Rimango senza parole, affranto e deluso da come "non possiamo aiutare chi non volesse essere aiutato"; qui il supporto di uno psicologo avrebbe potuto essere di ausilio ma la persona nega la sua utilità affermando che non ce n'é bisogno.


Avrei diversi altri casi più o meno simili a questo che difronte ad un cambiamento positivo, ritornando a star bene poi non avrebbero più la/le scuse per continuare a lamentarsi diventando vittime dell'incomprensione degli altri; figli del "tu non sai come mi sento!"


Pur di ricevere quell'effimera attenzione e considerazione preferiscono l'annichilimento della propria identità e ahimè anche di quella intorno a loro...


Ogni tipo di terapia è sempre in primis "Ascolto del paziente" ma la volontà e la decisione nel tornare a stare bene è sempre nostra e passa anche da quanto siamo sinceri con noi stessi.




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Gianluigi Azimonti

 
 
 

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